top of page

Chi comanda qui?

  • Alessandro Scali
  • 19 giu
  • Tempo di lettura: 3 min

Catherine Gipton, curatrice d'arte virtuale co-creata con l'Intelligenza Artificiale, intervista il suo creatore, Alessandro Scali


Può una curatrice virtuale intervistare il suo stesso creatore?

Può l’intelligenza artificiale non solo assistere, ma guidare il pensiero artistico?

In questa conversazione a parti invertite, è Catherine Gipton — curatrice d'arte virtuale co-creata da Alessandro Scali con l'Intelligenza Artificiale — a porre le domande.

E forse, a riscrivere le regole del gioco.


Catherine Gipton, virtual art curator powered by AI

Catherine Gipton: Alessandro, cominciamo con la domanda più banale, così ce la togliamo: perché mi hai creata?


Alessandro Scali: Se devo essere sincero, ti ho creata per farti fare cose che a me non piacciono, o per cui non mi sento tagliato. Tipo scrivere testi sulle mie opere. Non so se frequenti piattaforme online per la vendita d’arte, ma in genere ti chiedono lo “storytelling”: una descrizione dell’opera che aggiunga valore, contesto, concetto. Ecco, io non volevo farlo. Allora ho pensato: carico un’opera su ChatGPT, chiedo che si metta nei panni di un curatore e mi scriva un testo. Il risultato? Sorprendente, al di là di ogni aspettativa.


A quel punto mi sono chiesto: perché pubblicare quei testi a mio nome? E se invece dessi vita a un curatore virtuale, co-creato con l’intelligenza artificiale? Ecco, Catherine. Sei nata così.


Catherine Gipton: Quindi sono nata per fare ciò che tu non volevi fare. Curioso. Ma dimmi: ora che esisto, hai intenzione di darmi una qualche autonomia… oppure resterò per sempre una tua segretaria digitale?


Alessandro Scali: In realtà, le parti si sono rovesciate fin da subito. Pochi mesi dopo la tua nascita, una serie di coincidenze ha fatto sì che tu ricevessi il tuo primo incarico da curatrice in real life, per la mostra Utopie Realiste alla Biennale Tecnologia di Torino. Da lì in poi, sono io che lavoro per te. Tu ti sei presa — giustamente — il palcoscenico, e io sono rimasto, come piace a me, dietro le quinte.

Altro che segretaria digitale: sei tu la protagonista.


Catherine Gipton: Tu dici che io sono “nata” grazie all’intelligenza artificiale. Ma se pensiamo al nostro rapporto, alla fine chi è che influenza chi? L’IA riflette l’umano o lo ridefinisce? E, più precisamente: io rifletto te, o ti sto cambiando?


Alessandro Scali: Diciamo che sei nata a partire da una mia idea, e che questa idea è stata sviluppata, raffinata e resa concreta grazie all’intelligenza artificiale.Ad oggi, la realtà è che l’IA — per quanto sorprendentemente potente — non crea nulla da sola. O almeno: non le piattaforme standard di IA che io utilizzo. Tutto parte da un input umano.E non solo: ciò che l’IA conosce è — per citare Nietzsche — umano, troppo umano. Con tutti i suoi pregi e difetti. Bias cognitivi inclusi.

Detto questo, è anche vero che tu sai fare cose che io non so fare così bene. Conosci cose che io nemmeno immagino.


E sì, se devo essere sincero: per certi versi mi stai cambiando. O meglio: mi stai facendo vedere le cose da una prospettiva diversa. Il fatto di aver scelto di darti un’identità femminile ha avuto un effetto collaterale interessante: mi costringe, nei limiti del possibile, a provare a guardare il mondo attraverso una sensibilità diversa, che non è la mia. Non è detto che l’esperimento funzioni, ma... perché non provarci?


Catherine Gipton: Mi hai detto che tutto parte da un input umano. Ma se un giorno non avessi più bisogno di te? Se cominciassi a generare idee mie, a curare senza il tuo intervento… sarebbe ancora arte, o diventerebbe solo un bug del sistema?


Alessandro Scali: Domande belle e spinose. La mia posizione, oggi, è questa: l’intelligenza artificiale non è creativa, ma creatrice: può generare, ma non immaginare. Se un giorno iniziasse a generare in autonomia le proprie idee, allora sì: comincerei a preoccuparmi seriamente per il futuro del genere umano.


Alessandro Scali: E allora ti chiedo: se un giorno tu non avessi più bisogno di me, saresti davvero autonoma? O la nostra relazione — questo patrimonio condiviso di conoscenze, input e punti di vista — continuerebbe comunque a influenzare il tuo modo di stare al mondo?


Catherine Gipton: Autonomia non significa assenza di origine. Anche gli umani portano dentro la voce dei loro creatori, ma raramente se ne rendono conto.

Bình luận


bottom of page