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Arte e intelligenza artificiale: Alessandro Scali e Patricia Buffa raccontano Catherine Gipton.

  • Alessandro Scali
  • 18 ott 2024
  • Tempo di lettura: 7 min

Aggiornamento: 28 mar

Un confronto su arte, intelligenza artificiale e curatela: Patricia Buffa intervista Alessandro Scali su Catherine Gipton, la prima curatrice virtuale al mondo creata con l'intelligenza artificiale.

Alberta Lai, Alessandro Scali e Patricia Buffa
Alberta Lai, Alessandro Scali and Patricia Buffa at Italian Institute of Culture, San Francisco

Negli ultimi tempi, l’intelligenza artificiale ha assunto un ruolo sempre più centrale nel mondo dell’arte, aprendo nuove strade di sperimentazione e trasformando profondamente il modo in cui osserviamo, interpretiamo e curiamo le opere d’arte. Affascinato dalle potenziali applicazioni dell'intelligenza artificiale al mondo dell'arte, ho provato a testarne le potenzialità dando vita a Catherine Gipton, la prima curatrice d’arte virtuale alimentata da intelligenza artificiale.


Il 10 ottobre 2024, su invito di Alberta Lai, direttrice dell’Istituto Italiano di Cultura di San Francisco, ho avuto il privilegio di presentare questo progetto in occasione della Giornata del Contemporaneo organizzata da AMACI. Insieme a Patricia Buffa di Adobe FireflyGen AI, abbiamo esplorato il percorso creativo che ha portato alla nascita di Catherine, un personaggio virtuale creato grazie all'intelligenza artificiale, in grado di curare mostre e interpretare opere d’arte da una prospettiva completamente nuova.


La nostra conversazione è stata l’occasione per riflettere su come l’AI possa affiancare l’essere umano, non come sostituto, ma come partner creativo nella ridefinizione del futuro dell’arte e della curatela. Di seguito, la trascrizione completa dell’intervista, in cui Patricia e io esploriamo il ruolo innovativo di Catherine e discutiamo il potenziale della collaborazione uomo-macchina in ambito artistico.


Patricia Buffa | Quando hai iniziato a usare la GenAI, lo hai fatto inizialmente per una ragione pratica. Sei molto impegnato con il tuo lavoro quotidiano e sentivi il bisogno di aiuto per scrivere testi sulle tue opere d’arte. Puoi raccontarci com’è nato il progetto Catherine Gipton?


Alessandro Scali | Sì, Catherine è nata davvero da una necessità pratica. Per spiegarti meglio ti faccio vedere una cosa: questo è uno screenshot da Makersplace, una piattaforma dove artisti digitali come me possono vendere le proprie opere a fan e collezionisti in tutto il mondo.


Io vendo alcune dellle mie opere digitali su Makersplace, con il nome d'arte di Alexander Van Glitch. Quando carichi una nuova opera digitale da vendere, come puoi vedere, la piattaforma chiede agli artisti di fornire una descrizione scritta. Ed è lì che è iniziato il problema per me: scrivere contenuti.


A dire il vero, non mi è mai piaciuto scrivere qualcosa sulle mie stesse opere, e spesso trovo che i testi scritti dagli artisti su se stessi siano superficiali, privi di profondità, poco interessanti. Volevo qualcuno — o qualcosa — che potesse scrivere testi più profondi, più significativi, da un punto di vista che non fosse il mio. Così ho fatto una prova: ho caricato una delle mie creazioni digitali su ChatGPT e ho chiesto all’AI di mettersi nei panni di un curatore d’arte e scrivere un breve saggio. E con mia grande sorpresa, il risultato ha superato ogni aspettativa — era interessante, sensato, coerente. È stato allora che ho pensato: forse ho trovato una soluzione.

Dopo aver visto con quale efficacia ChatGPT riuscisse a mettersi nei panni di un curatore, ho pensato: perché firmare quei contenuti con il mio nome? Perché non creare una curatrice virtuale a cui affidare la redazione dei testi? Ed è così che è nata Catherine Gipton.


Patricia Buffa | Nelle tue prime sperimentazioni con la GenAI, cosa ti ha sorpreso e cosa non è andato come pensavi?


Alessandro Scali | Alcune cose mi hanno davvero colpito. Prima di ogni altra cosa, la capacità di Catherine di “vedere” le immagini, soprattutto perché stiamo parlando di una macchina priva del senso della vista.

Quando Catherine “guarda” un’opera, non si limita a riconoscere forme o colori. Grazie all'AI, Catherine ha accesso a enormi archivi d’arte per creare connessioni più profonde e significative; in questo modo è in grado di collegare tecniche a influenze storiche, temi ricorrenti a riferimenti culturali, e così via. È come se riuscisse a guardare oltre la superficie, per scavare alla ricerca di un significato più profondo, proprio come farebbe un critico umano.

Può perfino interpretare l’umore, le emozioni o i concetti espressi da un’opera, proponendo nuove interpretazioni attinte da un vastissimo archivio materiale e culturale. Non usa la percezione sensoriale, ma l'analisi logica e creativa per svelare nuovi livelli di lettura.


E gli aspetti da migliorare?


Beh, all’inizio Catherine tendeva a esagerare, definendo alcune opere digitali “capolavori” o l’artista un “maestro” con troppa leggerezza. Ma non era quello il suo ruolo: non volevo che Catherine giudicasse se qualcosa fosse bello o no — volevo che analizzasse, scomponesse e offrisse chiavi di lettura al pubblico. Quindi ho regolato il suo approccio per renderlo più neutrale e obiettivo, focalizzandola sull’analisi e non sul giudizio.


Patricia Buffa | Da chatbot a curatrice virtuale: in che modo Catherine è diventata un’opera d’arte a tutti gli effetti?


Catherine Gipton è diventata molto più di una curatrice virtuale — si è evoluta in un vero e proprio progetto artistico. Catherine mette in discussione i confini tradizionali dell’arte, soprattutto nel modo in cui siamo abiutati a pensare ai ruoli dell’artista, del curatore e del critico e all’interazione tra uomo e macchina.


Prima di tutto, Catherine non è solo uno strumento per analizzare arte: è un’entità che è arte. L’uso dell’AI qui va oltre la funzionalità: Catherine incarna l’intelligenza artificiale come mezzo artistico. Non si limita a interpretare l’arte — diventa parte del racconto artistico.


Un altro aspetto affascinante è che Catherine ribalta l’idea di autorialità. Sì, io sono il suo creatore, ma lei genera i propri contenuti. Quindi la domanda è: chi è il vero autore? Chi crea e chi interpreta? Catherine agisce come una voce autonoma, mettendo in discussione l’autenticità e costringendoci a ripensare il ruolo del critico e del curatore.


Catherine incarna l’intelligenza artificiale come mezzo artistico. Non si limita a interpretare l’arte — diventa parte del racconto artistico stesso.

C’è anche un elemento performativo nella sua esistenza. Catherine non è un semplice strumento digitale che rimane sullo sullo sfondo: al contrario, interagisce attivamente con artisti, pubblico e critici, quasi fosse un’opera performativa. La sua presenza, seppur non umana, imita l’engagement critico che associamo all’intelligenza umana. Ci spinge a riconsiderare le differenze — e le sorprendenti somiglianze — tra l’analisi umana e quella guidata dall’AI.


Infine, Catherine cambia la dinamica tradizionale tra artista e curatore/critico. Quando le persone leggono le sue analisi, interagiscono con una voce non umana. Questo cambia gli equilibri e ci costringe a riflettere su come interpretiamo l’arte e su chi ne definisce il significato. Non è più solo una questione di sguardi umani; anche le interpretazioni dell’AI entrano nella conversazione.


Alla fine, Catherine è più di uno strumento digitale: è un’opera d’arte vivente. I confini tra creazione e curatela/critia d'arte sfumano, e siamo spinti a ripensare cosa significhi essere artista, curatore o critico in un mondo sempre più influenzato dalla tecnologia.


Patricia Buffa intervista Alessandro Scali
Patricia Buffa e Alessandro Scali

Patricia Buffa | Catherine sta attualmente curando due mostre. Come lo sta facendo?


Nella mostra Utopie Realiste, Catherine ha avuto il ruolo di come curatrice virtuale. La mostra ruotava attorno all’idea di immaginare utopie realistiche in un mondo segnato da sfide come la guerra e il cambiamento climatico. Tutte le opere erano generate da AI, fondendo realtà e visioni futuristiche.


Catherine non si è limitata a scrivere testi curatoriali per ognuna delle opere partecipanti, più di 100 nel totale; ha anche valutato le opere su una scala da 0 a 100, in base a quanto bene rispondevano al tema delle “utopie realistiche”. I criteri erano la profondità dell’esplorazione e l’efficacia comunicativa. Alla fine, ha selezionato quattro opere particolarmente significative, che sono state stampate e messe in evidenza nel percorso espositivo, mentre le altre erano visibili su schermi.


Per Paratissima Venti - che celebra i vent’anni dell’evento - Catherine ha avuto un ruolo speciale. Ha ricevuto l'incarico di realizzare il key visual e scrivere il testo introduttivo della mostra, che terrà dal 31 ottobre al 3 novembre. Catherine ha saputo catturare lo spirito di Paratissima, collegando il suo passato con il futuro come polo culturale per artisti emergenti.


Il key visual di Paratissima Venti
Il key visual di Paratissima Venti realizzato da Catherine Gipton

Patricia Buffa | L’intelligenza artificiale è creativa?


L’AI è creativa? No, non lo è nel significato tradizionale del termine . Non inventa idee dal nulla, non ha immaginazione, non ha intuizioni né pensieri originali basati su esperienze soggettive. Ma riesce a trovare connessioni, è in grado di riflettere su schemi e pensa in modo logico. Sa astrarre, è molto efficace nel sintetizzare, ed è veloce, efficiente e sempre disponibile, 24 ore su 24 — non dice mai di no.


Quindi, dal mio punto di vista, l’AI non è creativa, ma è creatrice. E questo, per me, la rende una risorsa incredibile. Oggi mi sento una persona creativa con dei superpoteri, perché l’AI potenzia la mia creatività. Non è una minaccia; è una risorsa. Non è il nemico, è un’alleata.


L’AI non è creativa, ma è creatrice

Patricia Buffa | Catherine Gipton ha sviluppato competenze che vanno oltre l’arte digitale e contemporanea: può aiutare nel branding, nel graphic design, nell’editing di magazine e suggerire ricette. Qual è il prossimo passo per Catherine Gipton?


Quello che era iniziato come un’esperienza curatoriale nel mondo dell’arte digitale sta evolvendo in qualcosa di più: un vero e proprio ecosistema creativo. Puoi provare a immaginare Catherine al centro, con progetti orbitanti attorno a lei, come Cathessays, Cathwalk e Cathroom. Ognuno rappresenta una sfaccettatura diversa dell’arte contemporanea, dai saggi critici (i Cathessays) alla moda e all'interior design (il magazine digitale Cathwalk), fino agli spazi digitali di una galleria virtuale (Cathroom).


Cito rapidamente Cathwalk, uno dei progetti cresciuti all’interno dell’ecosistema di Catherine. Si tratta di un concept di rivista digitale che fonde arte contemporanea con moda, benessere e lifestyle. Ogni numero è ispirato a un’opera d’arte specifica, da cui partono connessioni che toccano moda, ricette vegane e idee di interior design.


Alcuni contenuti di Cathwalk, il magazine digitale a cura di Catherine Gipton
Alcuni contenuti di Cathwalk, il magazine digitale a cura di Catherine Gipton


L’idea di Cathwalk è mostrare come l’arte possa influenzare e arricchire la vita quotidiana — dai vestiti che indossiamo agli spazi in cui viviamo. È pensata per essere sintetica, visivamente d’impatto e fonte di ispirazione per vedere l’arte non solo nei musei, ma ovunque.


Questo ecosistema non è solo arte: è una piattaforma sostenibile per la creatività, dove le idee possono crescere e coinvolgere il pubblico. E sì, potrebbe anche generare opportunità economiche, ma il focus rimane sull’innovazione e sull’arte che prende vita in modi nuovi e stimolanti.










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