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Visioni dell’Impossibile

  • Alessandro Scali
  • 26 mag
  • Tempo di lettura: 5 min

Kafka, l’AI e la fotografia che non è mai stata


photograph inspired by metamorphosys by franz kafka
Poseidone | Stampa fotografica 20 x 25 cm.

Se è vero che la fotografia, per sua natura, è una traccia del reale, cosa accade quando ritrae ciò che non è mai esistito?

Visioni Kafkiane nasce proprio in questo cortocircuito: là dove il linguaggio letterario – denso, metaforico, assurdo – incontra una macchina che sa generare immagini, ma non comprendere sogni.

Mi sono chiesto se sia possibile vedere Odradek. Fotografare Bucefalo che sale le scale del tribunale. Fermare, in uno scatto in stile anni Venti, il ponte che geme sopra l’abisso.E la risposta – parziale, imperfetta, inquieta – è contenuta in queste nove fotografie che sembrano d’epoca, ma sono figlie del nostro presente.

A generarle è stata un’intelligenza artificiale. A immaginarle, però, è stato un uomo: Kafka prima, io dopo. E tra i due, il linguaggio: come ponte, come chiave, come sfida.


Il linguaggio come dispositivo generativo

Franz Kafka non ha mai posseduto una macchina fotografica, almeno a quanto ci risulta. Ma ha avuto qualcosa di più potente: la capacità di evocare immagini impossibili, usando solo parole.

Ogni suo racconto è una lente deformante puntata sul mondo. Kafka non descrive la realtà: la disfa, la ricostruisce, la osserva da angolazioni improponibili. Un cavallo che esercita la professione forense. Una spoletta di filo dotata di volontà. Un uomo che è un ponte. Kafka non ci dice cosa accade nel mondo: ci mostra cosa potrebbe accadere se il mondo si lasciasse contaminare dal paradosso.

Con questo spirito ho dato forma al progetto Visioni Kafkiane. Le descrizioni di Kafka sono diventate prompt: comandi testuali, complessi e dettagliati, rivolti a un’intelligenza artificiale per generare immagini che sembrino scattate un secolo fa. Non illustrazioni, né fumetti, ma fotografie vintage dell’irreale.


La fotografia dell’irreale

Tradizionalmente, la fotografia è considerata un documento. Un riflesso del reale, una testimonianza. Ma cosa accade quando il soggetto fotografato non esiste? Quando non può esistere?

Accade che la fotografia cessa di essere prova e diventa invenzione credibile. Un artificio visivo che non racconta ciò che è stato, ma ciò che l’immaginazione ha osato ipotizzare.Nasce così un’estetica dell’impossibile. Dove l’AI, invece di imitare il reale, lo tradisce per costruirne uno alternativo. Più ambiguo, più fragile, più poetico.


Alcune visioni


Odradek

“Ha l’aspetto di una spoletta per il filo... ma sembra dotato di gambe...”
photograph inspired by novel odradeck wtitten by franz kafka
Odradek | Stampa fotografica 18 x 24 cm.

Odradek è forse la creatura più inclassificabile della letteratura di Kafka. L'AI, di fronte a questo paradosso semantico, è costretta a decidere. E nel farlo, crea qualcosa che non ha precedenti: una forma incerta, borderline, che sembra vera e sbagliata insieme. È l’immagine più inquieta del ciclo, e anche la più filosofica.


Il ponte

“Ero rigido e freddo, ero un ponte, ero disteso sopra un abisso.”

photograph inspired by novel the bridge wtitten by franz kafka
Il ponte | Stampa fotografica 18 x 13 cm.

In questa fotografia, un corpo umano è al tempo stesso essere e struttura. Non agisce, regge. L’AI ha restituito una figura che si distende tra materia e metafora, un’immagine che non descrive ma suggerisce. L’uomo diventa paesaggio. Ed è la visione più tragica del progetto.


Una relazione per un'Accademia

“Io, libera scimmia, mi sono assoggettata a questo giogo…”

photograph inspired by novel a report to an academy wtitten by franz kafka
Una relazione per un'Accademia | Stampa fotografica 21 x 15 cm.

Qui la mimesi è ribaltata: non è la macchina che imita l’umano, ma l’animale che si umanizza per sopravvivere. Il soggetto – una scimmia elegante, seduta su una sedia a dondolo con una bottiglia sul tavolo – appare normale. Ma è proprio questa normalità a colpire: l’assurdo ha indossato la maschera della civiltà.


Un incrocio

“Ho uno strano animale, mezzo gattino, mezzo agnello…”

photograph inspired by novel a crossbreed wtitten by franz kafka
Un incrocio | Stampa fotografica 20 x 25 cm.

La più tenera e sinistra delle immagini. Un essere impossibile che conserva la dolcezza degli animali da compagnia ma tradisce, in un dettaglio dello sguardo o delle zampe, qualcosa di disturbante. L’AI qui è bravissima nel non scegliere del tutto: l’essere resta ambiguo. E questo lo rende poetico.


Il nuovo avvocato

“Abbiamo un nuovo avvocato, il dottor Bucefalo…”

photograph inspired by novel the new lawyer wtitten by franz kafka
Il nuovo avvocato | Stampa fotografica 21 x 15 cm.

Invece di citare la celeberrima Metamorfosi di Gregor Samsa, ho preferito soffermarmi su questo racconto meno noto, ma altrettanto emblematico.


Un cavallo che sale le scale del tribunale è un’immagine che sfida la logica. Eppure l’AI l’ha resa possibile. Lo scatto sembra vero. L’usciere che lo osserva ha una postura credibile. L’architettura è coerente. Ma è il soggetto a generare lo spaesamento: il documento di qualcosa che non è mai accaduto.


E poi, si muovono

Molte delle immagini di Visioni Kafkiane sono diventate brevi video di cinque secondi. Micro-sequenze dove il tempo entra in scena.

L’effetto è, in una parola, spiazzante. Finché l’immagine resta immobile, possiamo ancora illuderci: sembra una vecchia fotografia, una reliquia dimenticata. Ma quando comincia a muoversi – anche solo di un respiro, un’ombra, un battito – qualcosa si incrina.

Quei frammenti visivi non sono più semplici rappresentazioni. Sono apparizioni, flash di un mondo che non è mai esistito, ma che ora pretende di essere guardato.


Il caso di Il nuovo avvocato, ad esempio, è emblematico. Se nella fotografia Bucefalo si manifesta come un’apparizione, nel video la sua presenza diventa inequivocabile. Sale i gradini con passo deciso e dignitoso. L’usciere lo osserva senza stupore. E noi, spettatori, non sappiamo più se ridere, ammirare o preoccuparci.

In quei cinque secondi, Kafka non è più un autore. È un regista. E l’AI non è più una macchina. È un medium.



Il ponte, invece, si limita a tremare.

Un corpo umano disteso su due rocce, sospeso nel nulla. Non cammina, non si spezza, non crolla. Ma respira.

In quei cinque secondi, l’immobilità si fa tensione. Il paesaggio è muto, e il corpo non è più un soggetto: è una struttura vivente, un simbolo tragico, un’architettura dell’assurdo.

Nessuna metafora letteraria potrebbe renderlo così visibile. E così inquietante.



Poi c’è la scimmia.

Non ride. Non balla. Non gesticola. È seduta, composta, come un borghese d’altri tempi. Ma tutto in lei è imparato.

Le mani sono troppo rigide, lo sguardo troppo attento, il corpo troppo educato.

E in questi cinque secondi – in cui non accade nulla – si capisce tutto: non c’è niente di più kafkiano della civiltà come sforzo.

Questo video non mostra l’animalità. Mostra il prezzo dell’umanità.



L’AI è creatrice, ma non creativa

Uso spesso questa frase: l’AI è creatrice, ma non creativa.

Produce immagini nuove, ma non ha immaginazione. Risponde, ma non propone; esegue, ma non sogna. Tutta la creatività è a monte. Sta nella scelta delle parole, nella selezione dei racconti, nella costruzione del prompt, nell’intuizione dell’immagine possibile-impossibile. In questo senso, l’AI è uno specchio: riflette la nostra visione del mondo, ma con una chiarezza che a volte ci inquieta.


Perché dare volto all’invisibile?

Perché fotografare ciò che non è mai esistito? Forse per restituire potenza al linguaggio. Forse per superare il confine tra letteratura e immagine. O forse per ricordarci che anche l’impossibile, se espresso bene, può essere visto.

In un’epoca dove tutto è già stato mostrato, servono immagini che non documentino. Ma che disturbino, suggeriscano, aprano.

Kafka ci ha lasciato visioni. Io ho solo provato a guardarle.

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